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Novantapercento


Lo studio del World Economic Forum (WEF) "The Future of Jobs" (http://reports.weforum.org/future-of-jobs-2016/) stima cha le Trasformazione Digitale comporterà una perdita netta di milioni di posti di lavoro, soprattutto nei servizi. Non riguarda solo i business più evidentemente esposti alla disruption tecnologica o di modello, ma intere categorie di attività, trasversalmente a settori e dimensioni. Tra le più esposte vendite e amministrazione.

Questo non accadrà nei prossimi venti anni, ma nei prossimi cinque: praticamente domani.

Quanto c'è di vero? Osservando le nostre organizzazioni, riusciamo a vedere ruoli così esposti alla trasformazione digitale nel breve?

Come consulenti, abbiamo avuto l’opportunità di raccogliere alcune evidenze interessanti.

Prendiamo ad esempio un'impiegata che si occupa, in un’azienda di servizi, di gestire le prenotazioni per la formazione interna. È un analisi svolta tempo fa, durante un micro-intervento VSM (Value Stream Map, analisi del flusso di valore) di una giornata, parte di un più ampio programma di trasformazione LEAN.

In quell'azienda un dipendente può iscriversi ad un corso sul portale intranet, scegliendo tra quelli pubblicati a catalogo. L'impiegata riceve l'iscrizione, verifica i posti disponibili, verifica sui sistemi HR la coerenza con il ruolo aziendale, valuta l'opportunità di confermare la sessione, in funzione del numero di iscritti. Comunica per posta elettronica la partecipazione al corso, oppure contatta il dipendente per ripianificare. A corso terminato, verifica l'effettiva partecipazione della persona, e ne registra l'esito su un foglio Excel, dandone notifica anche ai capi. Se la persona ha saltato una sessione di formazione, la invita alla successiva. Se la persona manca anche alla seconda, viene messa nel report Excel dei "cattivi", debitamente inviato alle linee manageriali di competenza.

Per fare questo l'impiegata spende più di metà del suo tempo, per un totale di circa 90 giorni/anno di lavoro.

È un’attività importante? È di valore per l'azienda?

Per quanto non concorra direttamente al fatturato, contribuisce a mantenere in funzione una parte della complessa macchina aziendale. Se si gestisce una formazione interna, occorre assicurare che essa sia fruita in modo razionale, che la partecipazione ai corsi sia coerente con profilo e obiettivi, che non si eroghi formazione ad aule vuote.

È un’attività svolta in modo efficiente? Si potrebbe gestirla meglio?

A queste domande siamo stati chiamati a rispondere noi: l'analisi LEAN serve proprio a questo: esamina in dettaglio l'operatività, tenendo conto dell'obiettivo ultimo, individua gli sprechi e ricerca possibili ottimizzazioni.

Nel caso in questione, la mappatura VSM portò ad individuare:

  • micro-sprechi operativi certi per circa il 10-15% del lavoro totale svolto, principalmente dovuti a errori e rilavorazioni

  • dubbi circa l'effettivo valore aziendale di un ulteriore 25-35% del lavoro, derivante da richieste improprie di informazioni o di supporto da parte della popolazione di utenti.

La maggioranza dei micro-sprechi fu indirizzata con strumenti LEAN, quali poka-joke e checklist. Le richieste improprie furono tracciate e portate all’attenzione delle linee manageriali, per un’azione di sensibilizzazione al rispetto delle procedure previste. Il beneficio risultò stimabile in una riduzione del 20-25% del tempo di lavoro complessivo. Si tratta di risultati significativi, abbastanza ordinari nell'applicazione della LEAN ai servizi, ottenibili senza interventi IT o HR.

In quell'occasione si procedette tuttavia anche ad effettuare una breve analisi Digital LEAN, per valutare scenari di ulteriore trasformazione tecnologica.

La Digital LEAN scompone un processo nelle sue operazioni logiche fondamentali, astraendosi dai vincoli attuali di contesto, e lo ripensa considerando le opportunità offerte dalle soluzioni digitali. Ogni operazione viene associata all’agente (persona o automatismo) più appropriato ed alle modalità esecutive che generano maggiore valore. Ciò che si discosta da tale configurazione ideale è trattato alla stregua di spreco, e diventa oggetto di progettualità mirata (Design Thinking).

Ebbene, ne emerse che circa il 90-95% delle operazioni svolte era sostanzialmente privo di caratteristiche che giustificassero la presenza di un operatore umano dedicato. Trasferimenti di dati da un sistema all'altro, verifiche con logiche facilmente traducibili in semplici algoritmi, invio di notifiche. Nessun bisogno di processi cognitivi e decisionali di ordine superiore, nessuna vera esigenza di contenuto emozionale, relazionale.

La quasi totalità del lavoro umano risultava quindi eliminabile, senza ipotizzare modifiche di modello e senza nemmeno ricorrere a soluzioni tecnologicamente più avanzate. Il risultato poteva essere colto aumentando di poco il livello di automazione e integrazione informatica esistente. Completandolo, per essere più precisi. Un intervento di portata limitata: stime conservative dimensionavano in una quindicina di giorni il lavoro necessario per realizzare le funzionalità aggiuntive richieste. Un’altra alternativa da valutare era l’adozione di soluzioni esistenti in cloud per l’intero processo di gestione della formazione; un costo annuo di alcune centinaia di euro. In ambedue i casi un ritorno sull’investimento eccezionale.

Un caso particolare? No. Situazioni di questo tipo sono comuni a molti processi in cui si elabora informazione.

Si tratta spesso di una moltitudine di operatività minori, di supporto, che non assumono priorità di intervento elevate nei portafogli ICT, anche se singolarmente offrono ritorni sull’investimento (in proporzione) importanti. Oppure il risultato di progetti di automazione incompleti nella copertura funzionale o nell’integrazione, il cui costo-opportunità residuo non è mai stato pienamente valutato.

Una prima conclusione a cui possiamo giungere è che lo studio del WEF ha certamente ragione: nel futuro prossimo molti lavori spariranno. Non sarà però necessariamente solo un cambiamento legato a grandi contenuti di innovazione o a quell’ondata di nuove tecnologie o modelli che chiamiamo “trasformazione digitale”.

Si tratterà piuttosto dell'ulteriore, drastica accelerazione di un processo obbligato di profonda razionalizzazione che è in atto già da tempo in tutti i settori. L’opportunità è già presente, fino ad ora ci si è permessi di non coglierla pienamente.

Una seconda conclusione è che in questo processo il presidio delle tecnologie potrebbe non essere cruciale quanto la capacità di concepire e realizzare operatività e soluzioni ben pensate, complete, solide sia nel disegno generale che nelle scelte di maggiore dettaglio.

Questo è forse il punto più importante su cui ragionare: perché le aziende (ed i loro ICT) faticano a creare soluzioni operativamente performanti, anche quando le tecnologie che servono sono note ed accessibili? Forse un modello che centralizza la responsabilità del disegno dei processi e delle soluzioni è un “collo di bottiglia”, che non potrà mai entrare nel dettaglio “fine” delle logiche del lavoro e degli strumenti di cui necessita, per essere svolto al meglio.

Ecco la grande suggestione e sfida “Agile” della trasformazione digitale: l’ideale decentramento della responsabilità (e della capacità) progettuale verso chi il lavoro ora lo svolge, affinché quel 90% di operatività sostituibile diventi lavoro di disegno, gestione, miglioramento continuo di processi e soluzioni.


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