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Pompieri si diventa


Un'altra giornata difficile.

Avete risolto anche stavolta, ma il quadro generale sembra sempre più caotico, insostenibile. Si lavora tanto, fino a tardi, ma sembra di essere sempre indietro, una rincorsa continua degli eventi.

“Spegnere incendi” qualcuno lo chiama. Cento cose da fare, contemporaneamente. Tutte urgenti. Le persone protestano, non riescono a iniziare e finire una cosa senza essere interrotte. Ti piacerebbe impostare le cose per bene, con calma, ma non sembra possibile, c'è sempre qualche emergenza da gestire. Porti ancora a casa il risultato, ma intuisci che il debito tecnico e organizzativo aumenta.

Come puoi fare?

Be', il primo passo è prendere coscienza che la tua organizzazione è probabilmente “adattiva”, arrivata al suo limite di sostenibilità. Un'organizzazione adattiva si fonda sulla capacità di singoli individui, motivati e competenti, di organizzare e micro-ottimizzare l'operatività dell'unità di cui sono responsabili. Si tratta di “capi” che conoscono il lavoro, conoscono le persone di cui dispongono, e gestiscono le attività giorno per giorno, situazione per situazione, scegliendo la soluzione migliore e allocando al meglio le risorse disponibili. L'organizzazione adattiva ha una sua struttura: esiste un organigramma con funzioni e ruoli, ed anche i processi possono essere definiti e documentati. Si tratta però di riferimenti piuttosto generici, ampiamente interpretabili, ed agiti in modo piuttosto “lasco”. E se da qualche parte ruoli e processi sono definiti in dettaglio, allora probabilmente sono disattesi, con deroghe ed eccezioni continue.

Processi e ruoli di dettaglio diventano uno svantaggio nel momento in cui vincolano la possibilità di micro-ottimizzare, caso per caso: è il capo stesso che chiede di ignorarli, nel momento in cui il suo ragionamento o la sua intuizione gli facciano scegliere un approccio differente.

Definire un processo e rispettarlo implica un investimento iniziale, un costo di esercizio e un implicito costo opportunità (ogni qual volta impedisce di adattarsi, e fare una cosa più sensata). “Il processo non riesce ad esprimere bene tutta la complessità del nostro lavoro” diresti.

È quindi una cosa buona o una cosa cattiva essere adattivi?

Be', all'interno di certe condizioni, la logica “adattiva” funziona molto bene: si opera con buon senso, in modo pragmatico, flessibile, reattivo, veloce. Se il capo è esperto e competente, le sue scelte sono quasi sempre quelle giuste. La supervisione diretta sulle attività e sulle persone gli dà le informazioni necessarie per decidere, ed il controllo per far eseguire rapidamente le decisioni prese. La maggioranza delle imprese padronali nasce e continua ad operare così. Spesso è la ragione per cui le aziende di piccola e media dimensione sono (molto) più flessibili ed efficienti delle multinazionali. Ma anche nelle organizzazioni di grandi dimensioni si trovano funzioni “silos”, gestite dai manager in modo adattivo, che performano molto bene.

Purtroppo questo modello ha un grande limite: funziona bene solo entro certi livelli di complessità. Se questa oltrepassa la capacità del capo di gestirla e/o non rende più possibile il controllo diretto, allora la prestazione operativa scende rapidamente. Il capo semplicemente non riesce a vedere tutto, a controllare tutto. Non ha le competenze per gestire tutto. Può delegare, ma se le persone delegate non sono altrettanto capaci, o non hanno la stessa visione di insieme, le cose non procedono comunque bene. E le persone delegate, i “sottocapi”, vanno coordinati. Aumenta drasticamente il tempo speso in riunioni, ma non durano comunque abbastanza per capire tutti i dettagli, per allinearsi su ogni cosa. Cresce il numero di errori, di scelte sbagliate, e con esso cresce anche il volume di lavoro. Salgono frustrazione e conflitto organizzativo.

Il modello adattivo ha poi un altro svantaggio: non consente misurazioni. Poiché ogni situazione è gestita in modo diverso, o con frequenti eccezioni rispetto al processo nominale, non ci sono riferimenti davvero fissi ed affidabili. Anche i dati sui sistemi non raccontano tutta la storia, perché, inevitabilmente, nell'organizzazione adattiva le attività non sono definite e classificate con rigore e precisione. Cosa è “progetto”? Cosa non lo è? Quando è iniziato esattamente, quando è finito? Chi ci ha lavorato e quanto? La verità e che non ci sono stati i presupposti per tracciare queste informazioni: non lo si sa, non lo si può sapere.

Cosa intendo per “complessità” mi chiedi? Può essere intesa come il numero di elementi che compongono l'operatività dell'azienda, ed il numero di stati in cui essa può trovarsi. Tutto concorre: il numero e la diversità dei prodotti o servizi venduti, delle attività da svolgere, delle persone che lavorano nell'organizzazione, delle competenze che devono avere, delle tecnologie e dei servizi utilizzati. Conta il numero di modi con cui il Cliente è informato dell'offerta, con cui può fare un ordine, con cui paga. Anche l'articolazione dello spazio fisico in cui le attività sono distribuite ha un impatto. Ed anche la velocità con cui tutto questo cambia nel tempo.

Penso sia questo il tuo problema. Se sei il capo di una organizzazione adattiva, esposta a crescente complessità, allora non importa quanto sei competente e quante ore lavori: gli incendi saranno sempre più numerosi, e sempre più difficili da spegnere. L'evoluzione del tuo business sta superando la tua capacità “sistemica” di gestirlo bene, e forse non te ne rendi conto.

Cosa puoi fare?

Se le cose fossero fatte in modo più standardizzato, secondo processi ben definiti, allora potresti gestire le cose attraverso la sintesi che modelli e numeri (i famosi KPI) possono offrirti. Il processo, se disegnato bene ed attuato senza eccezioni, di fatto riduce la variabilità e la complessità interna, e rende l'operatività misurabile. Se il lavoro è standard e misurabile, può essere ottimizzato “scientificamente” o forse può anche essere totalmente automatizzato. Tutte cose che l'organizzazione adattiva non fa, o fa in modo molto parziale, perché in un certo senso “sceglie” di operare in modo più complesso, anche se sembra un paradosso.

Certo, standardizzare e strutturare l'operatività in processi impone investimenti e molte scelte, a volte difficili. Soprattutto per la cultura del management, che diventa disegnatore e gestore di processi, e meno “capo”.

La tua principale obiezione è però probabilmente diversa, e molto sensata: la rapidità con cui il mercato cambia impedisce in certi casi di definire processi, che diventano vecchi prima ancora di essere messi a punto.

Vero. Ma questo non giustifica necessariamente l'esistenza di un'organizzazione adattiva.

I modelli operativi “agili” prevedono la rimozione mirata di struttura (ruoli, processi) valorizzando la capacità di team dedicati, autonomi, motivati ed esperti, di ottimizzare e micro-ottimizzare il lavoro. È come lavori adesso, dici? No. L'organizzazione agile non è per nulla adattiva, anzi. Incastona aree operative destrutturate in un contesto fortemente strutturato, per processi. L'organizzazione agile crea le condizioni per poter operare localmente in modo molto veloce e flessibile, ma con i presupposti per poter governare comunque il flusso di lavoro in modo razionale, quantitativo, oggettivo.

L'organizzazione agile è pragmatica, poco burocratica come l'adattiva, ma fa scelte drasticamente diverse: ad esempio tende ad allocare le persone al 100% sulle attività, rinunciando in questo modo a micro-ottimizzarne l'allocazione, ma riducendo alla radice la frammentazione operativa e l'inefficienza che ne consegue.

Anche il modello agile impone investimenti e scelte difficili. Richiede persone competenti e motivate, e questo comporta un costo. Presuppone una gestione davvero avanzata della capacità operativa e delle competenze, perché i team sono decisi prima e devono essere stabili e davvero autonomi, senza compromessi. Richiede una logica di governo specifica, perché l'autorità e la responsabilità devono essere realmente delegate al team. Anche per la cultura manageriale è un cambiamento importante: perdere (vera) autorità a favore del team, passare da “capo” a coach non è cosa da poco, soprattutto se si viene da una organizzazione adattiva, e si è abituati a comandare.

Non ti piace nessuno dei due scenari? Mi rendo conto di non averti fornito soluzioni semplici, tuttavia osservazione e logica ti convinceranno che ho detto il vero.

Esiste anche la possibilità che la condizioni in cui opera la tua organizzazione siano e rimangano effettivamente gestibili al meglio con una logica adattiva: succede in scenari di media complessità ma variabilità pervasiva, con una dimensione organizzativa sotto la scala minima di applicabilità dell'agile. In questo caso puoi migliorarne le prestazioni arricchendo la tua dotazione di strumenti e metodi, ma competenza, controllo diretto e buon senso rimarranno probabilmente gli elementi necessari e sufficienti per fare funzionare bene le cose. Forse con una piccola dose di inevitabile e fisiologico caos.

Ma se così non è, allora hai un vero e critico problema di modello, e la natura adattiva della tua organizzazione rimarrà un limite, un tetto insuperabile alla sua capacità di migliorare e crescere, e nessuno strumento o metodo potrà ovviarvi efficacemente.

(Pubblicato su "Il Caffè Digitale" Aprile 2018 - The Innovation Group

https://www.theinnovationgroup.it/newsletter-hidden/pompieri-si-diventa/?lang=it)

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